Raccontando la storia, parzialmente autobiografica, di un'infanzia nomade trascorsa tra la Francia, la Russia e la Svizzera negli anni che precedono la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa, il romanzo di Nathalie Serraute evoca il flusso delle vaghe, e spesso dolorose, impressioni che invadono la piccola Natasha nel rapporto con la madre, il padre e la matrigna. Soprattutto all'inizio, la narrazione in prima persona è spesso interrotta da un dialogo fra un io e un tu, fra il narratore e il proprio doppio, che si interroga e l'interroga sulle motivazioni della scrittura. Questo libro non è solo la cronaca di un'infanzia "nomade" fra genitori separati, e di uno spaccato storico, ma anche una riflessione sulla lingua o meglio sulle varie lingue fra le quali questa infanzia si è formata. Per Gilles Deleuze,
Infanzia di N. Sarraute resta uno dei più significativi romanzi contemporanei sulla memoria, capace di tradurre in contenuti universali un'esperienza privata, senza cadere mai negli stereotipi del genere.
Ma
Infanzia è anche una riflessione sul luogo sorgivo della scrittura, su quell'"immenso terreno inesplorato" che sta fra il vissuto e la lingua, fra il silenzio e le voci. La lingua di
Infanzia - scrive Ginevra Bompiani nella sua postfazione - è "una lingua senza nomi, nella quale le parole catturano 'qualcosa di sconosciuto'. Una lingua di verbi. Di moti che sfociano in certe parole, si sviluppano a partire da altre. Ingranditi, rallentati, non esistono allo stato normale, eppure sono vivi. Sono forme di vista invisibili, che la scrittura afferra con i suoi strumenti, prima che la parola non li accechi".
Traduzione di Oreste del Buono
Postfazione di Ginevra Bompiani