Il saggio di Unger, Politica e metafisica, uscito nel 1921 a Berlino, deve la sua notorietà al forte interesse che Walter Benjamin dimostrò immediatamente per il libro – in una lettera dello stesso anno all'amico Scholem, definisce questo testo “lo scritto sulla politica più significativo del momento” – e per il suo autore, che invita a collaborare alla rivista "Angelus Novus". La fascinazione esercitata sul giovane Benjamin da quest'opera singolare, rimasta pressoché ignorata, è testimoniata nei suoi scritti e nelle annotazioni degli anni '20. Edito appena un anno prima della Teologia politica di Carl Schmitt, il saggio di Unger espone l'idea di un'intensificazione del corpo e della sua iscrizione in una politica del molteplice sottratta alla metafisica dello Stato e all'economia ristretta del capitale. Ne deriva una ristrutturazione della politica articolata in un quadro teorico che negli anni '70 del secolo scorso Michel Foucault ha provato a descrivere attraverso la nozione di "bio-politica". L'enigmatica definizione benjaminiana della politica come "comportamento dell'umano non intensificato" trova nel programma di Unger un'inattesa precisazione, che aiuta forse a ricomporre in un unico orizzonte e in una persuasiva genealogia le tensioni che non cessano di attraversare il pensiero politico contemporaneo.
A cura di Paolo Primi