Riscoperto da Benedetto Croce nella celebre antologia del 1910 dei Lirici Marinisti, e dallo studioso definito come il massimo rappresentante del «secentismo del secentismo», Giacomo Lubrano (Napoli 1619-1693), gesuita, fu il più celebre e conclamato predicatore della città nella seconda metà del XVII secolo (nel 1680 viene addirittura invitato a predicare il Quaresimale in Palazzo, cioè al cospetto del Viceré; e comincerà ben presto ad essere richiesto per le più importanti occasioni pubbliche in varie città d'Italia, da Palermo a Venezia). Capace di sconvolgere il suo uditorio con prediche pirotecniche («a volo di iperboli») ma provvisto anche, come ricorda il giovane Giambattista Vico, «d'infinita erudizione», Lubrano coltivò in proprio anche la poesia, sia quella latina (nel 1690 apparvero i Suaviludia Musarum ad Sebethi ripam) sia quella italiana, di chiara e sfacciata ascendenza marinista (a un anno dalla morte, con lo pseudonimo di Paolo Brinacio, pubblicò le Scintille poetiche). La storia della rivalutazione di questo straordinario poeta, definito addirittura «il Mallarmé italiano», ha attraversato, dopo il "rilancio" di Croce, tutta la seconda metà del Novecento, passando per la famosa antologia del 1954 di Giovanni Getto e, soprattutto, per la radicale presa di posizione di Jean Rousset (nel saggio Circe e il pavone), secondo cui Lubrano è addirittura «unico» nel panorama della poesia barocca. Vent'anni fa, infine, Marzio Pieri ne ha curato una prima importante riedizione. Questo libro offre dunque al lettore i primi trenta sonetti delle Scintille poetiche, che costituiscono uno straordinario testo unitario (una corona di sonetti) incentrato su un'allegoria barocca assolutamente inusitata: quella del baco da seta (un misero verme alla base di ogni lusso). L'immagine del baco offre a Lubrano la possibilità di insistere sulle «trasparenze» del mondo e sulle sue miserevoli fantasmagorie (si tratta a ben vedere, e così lo interpretano Alfano e Frasca, di un'attenta analisi di quella che si potrebbe già definire "società dello spettacolo"). Un'altra decina di sonetti (da quelli memorabili sul terremoto del 1688 a quelli imperniati sull'uso degli occhiali e dell'orologio) vengono offeri all'interno dei saggi coi quali Alfano e Frasca guidano il lettore alla scoperta di questo straordinario marinista non a caso amato, e considerato maestro, da tanti poeti contemporanei (da Ortesta alla Valduga).
A cura di Giancarlo Alfano e Gabriele Frasca