Il caso Wilson si può collocare all'interno di quel particolare genere letterario chiamato “letteratura psicoanalitica”. La sua prima apparizione risale al 1966, pubblicato a seguito di un'intensa collaborazione tra Sigmund Freud e il diplomatico americano William C. Bullitt. Questo saggio non figura, tuttora, in nessun indice delle opere complete di Freud.
Cronopio ri-pubblica, in una nuova traduzione, questo lavoro apparso per la prima volta in Italia da Feltrinelli nel 1967, ed ormai introvabile.
Il caso Wilson è un'opera pionieristica a tutti gli effetti, che ha incontrato, nel tempo, più di una resistenza.
Freud ha scritto quest'opera a quattro mani con il diplomatico americano Bullitt, che era stato suo paziente a Vienna e prima ancora consulente stretto del presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson durante gli anni della prima guerra mondiale. Nell'edizione delle opere complete di Freud compare solo la breve prefazione a firma dello psicoanalista. Ciononostante, non ci sono dubbi sul fatto che l'opera sia frutto di un'autentica collaborazione tra i due autori. Sotto i toni sobri e la gran mole di riferimenti biografici, emerge il quadro sconvolgente di una personalità, quella di Wilson, caratterizzata da evidenti disturbi psicotici, facilmente manipolabile, tacitamente disprezzata dagli interlocutori internazionali, eppure amatissima dalle folle. Freud sembra interrogarsi così sulle radici del potere carismatico andandone a trovare le origini in tratti psicopatologici ben precisi che costituiscono l'"altra scena" della politica moderna. Testo maledetto dagli storici americani, incompreso e presto dimenticato dagli psicoanalisti, questo saggio continua a colpire il lettore per lo sguardo fermo e tragico che riesce a gettare su un uomo, un grande capo di stato, che rappresenta l'espressione di un'intera civiltà e del suo profondo disagio. Se era la peste che Freud credeva di portare in America, questo libro, più di ogni altro, avrebbe dovuto essere l'arma del contagio.